Il paese degli alti valichi è un deserto ad alta quota, attraversato in tutte le direzioni da grandi catene di montagne. Si pensa che i suoi primi abitanti siano stati i Mon del nord dell’India e i Dardi di Gilgit, a cui si sono aggiunti i nomadi mongoli del Tibet.
Per secoli il Ladakh è rimasto legato al Tibet, sia per gli scambi commerciali che per il buddismo ed è per questo che spesso è chiamato anche piccolo Tibet: la lingua, l’arte, l’architettura, la medicina e la musica riflettono, tutti, questa eredità culturale.
Nonostante questo stretto rapporto con il Tibet, il Ladakh è stato un regno indipendente dal 950 d.C. fino al 1834, quando fu invaso dagli Indù Dogras.
Quando i Dogras ottennero il controllo del Kashmir, il Ladakh e il vicino Baltistan caddero sotto la giurisdizione del Maharajah di Jammu e Kashmir. In seguito alla guerra fra India e Pakistan nel 1947, la regione del Baltistan rimase sul versante pakistano della linea del cessate il fuoco e il resto del Ladakh divenne parte dello stato indiano di Jammu e Kashmir. A causa delle crescenti tensioni fra India e Pakistan, dell’invasione cinese del Tibet negli anni Cinquanta e dell’occupazione della regione di Aksai Chin nel 1962, il Ladakh è divenuto una delle zone strategicamente più importanti dell’India ed infatti la principale fonte di traffico sulle desolate strade ladakhe sono i camion dell’esercito.
Il primo contatto con il Ladakh lo abbiamo avuto arrivando in aereo a Leh, la sua capitale, che si trova a 3600m di altezza. La nostra prima giornata l’abbiamo spesa dormendo, bevendo the e camminando lentamente sulle polverose strade di questa città.
A Leh la corrente elettrica e la connessione ad internet sono molto altalenanti. Possono passare diverse ore senza elettricità e diversi giorni senza internet. Un blackout dietro l’altro ci pareva potesse essere un bel fastidio per gli abitanti del posto, soprattutto quelli che lavorano per i turisti che vengono da ogni parte del mondo. Ci era finalmente chiaro perchè, durante l’organizzazione del viaggio, era sempre così difficile interagire con il nostro referente. Intere giornate senza ricevere una sua risposta a volte ci preoccupavano. Ma era una preoccupazione solo nostra, perchè loro, i ladakhi, se la connessione ce l’hanno la usano, altrimenti aspettano senza fretta che ritorni.
La città di Leh ci è apparsa caotica, polverosa e un po’ sporca. Forse un triste tentativo di imitare lo standard delle grandi città indiane. A nostro avviso non c’è un granchè da vedere, fatta eccezione per il Somar Gompa, il palazzo reale e il vicino Tsemo Gompa da cui si gode una bella vista sulla piana di Leh.
Fonti: “Ladakh” di Marco Vasta Edizioni La bottega del caffè letterario, 2009.
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